19 mag 2016

'Quartet' - recensione della Fondazione Leonardo
Fausto Melloni
Dopo Amour, che qualcuno considera, forse a torto, la più triste rappresentazione possibile della più desolata vecchiaia, consigliamo senz'altro un film come Quartet. A torto perché? Perché al fondo della puntigliosa ostinazione di Trintignant di assistere in casa la moglie invalida fino all'estrema decisione di soffocarla per porre fine a un calvario, c'è pur sempre la parola del titolo. Amour.
Ci sono vecchiaie altrettanto disperate, vissute nel dolore che strazia, nella solitudine. Qualche volta nell'odio.
Ecco allora che, per bilanciare l'angoscia di certe rappresentazioni, pur realistiche e purtroppo ricorrenti, conviene affidarci a un film come Quartet dove anche il dolore viene raccontato con una patina di ottimismo. Terapia dell’illusione? Forse, ma bisogna pur sperare.
Siamo a Beecham House, un'elegante casa di riposo per musicisti situata in una lussuosa residenza della vecchia Inghilterra, circondata da un paesaggio di tale bellezza da reggere tranquillamente 90 minuti come semplice documentario. Sono presenti alcuni dei caratteri delle commedie destinate a catturare noi spettatori.
C’è l'arrivo di Jeans Norton, famosa gloria del passato, accolta con un grande applauso da ospiti e personale della residenza. Altera e sprezzante rifiuta di partecipare con gli ex colleghi a un galà per sostenere la casa di riposo: replica di uno storico successo del gruppo nel secondo atto di Rigoletto.
-Non canterò in nessun quartetto, lo debbo alla memoria dei miei ammiratori.
-Ma di che memoria parli? -risponde Wilfred Bond, tenore, ora maturo dongiovanni della compagnia – quello dei tuoi ammiratori? Quelli sono morti e stramorti.

C’è Reginald Paget, ex marito di lei, tradito tanti anni prima la sera stessa del matrimonio, furioso con la direttrice: non vuole saperne di ricominciare a soffrire a causa dell’arrivo del suo antico amore infedele.
C’è l’intraprendenza di Wilf che non risparmia esplicite avances a nessuna delle giovani donne di Beecham House, direttrice compresa, nonostante sia, forse, il più malconcio salute.
C'è Sissi, la dolce soprano ex bellissima, che, maltrattata da Jean che la percuote con un mazzo di fiori offertole per pura gentilezza, cade, perde la conoscenza e vive un'anticipazione della demenza senile alla quale è destinata.
C'è pure un pizzico di meschinità, tanto per essere credibili (molto soft perché il film aspira a tutto tranne che figurare tra le opere impantanate nel moralismo), come quando la grande soprano, indignata soltanto perché i suoi amici la invitano a cena per convincerla a cantare con loro il quartetto di Rigoletto, li manda decisamente “affanculo”.
Come quando il marito di lei, il tenore cornificato dopo solo nove ore di matrimonio, insulta senza motivo una cameriera francese: “mangia rane”, addirittura “puttana” soltanto perché a colazione non porta mai la marmellata di arance, ma solo quella, detestata, di albicocche.
C’è la riconciliazione tra la soprano infedele e il tenore, dopo un vissuto di rancori e di rimorsi. La riconciliazione proprio lì, in quel luogo che poteva essere la trappola dei risentimenti e, al contrario, si rivela la culla del ritrovato amore. Complice la confusione emotiva del sipario che sta per alzarsi sul famoso quartetto, è lei che rompe il ghiaccio:
-Sei molto bello
-Tu sei bellissima
-Allora sposiamoci

C'è l'affascinante direttrice, più volte sfuggita agli agguati di Wilf, il tenore dongiovanni, che la sera del galà, nel ringraziare il pubblico in platea, aggiunge a proposito dei suoi anziani ospiti:
“Noi abbiamo verso di loro un grande debito di riconoscenza, perché ci stimolano. Il loro amore per la vita, come sapete, è contagioso e ci dà grande fiducia nel futuro.
Sono piccole, deboli prove tecniche di realismo. In realtà il film strizza non uno ma entrambi gli occhi a un pubblico che, in astinenza da good news, ha tanta voglia di ottimismo. Abile prodotto commerciale? Quando la scena è incantevole, la regia è abile e talvolta ispirata, la recitazione è ; eccezionale, ben venga anche il prodotto commerciale. Riuscire a far sorridere, senza tradire il buon gusto, in un ambiente che normalmente suggerisce tutt'altro, è impresa di non poco conto.
Fa piacere che a favorire la ritrovata armonia e a legittimare il difficile ma non improbabile lieto fine, sia la musica. La musica di Giuseppe Verdi, in un film, dove tutto tende a esaltare la bellezza come forza vivificatrice.

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