Marco Trabucchi
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Qualcuno potrebbe essere indotto ad un'interpretazione frettolosa
di questo titolo, quasi pensassi che sia possibile trovare una cura per le
guerre che continuano ad allargarsi nel nostro mondo. Sarebbe un compito
impossibile, ma forse anche un tentativo ridicolo...
Mi riferisco invece a come l'attenzione verso gli altri, sani, forti, fragili o ammalati, cioè la cura, possa costituire un punto d'appoggio per la costruzione di una collettività solidale, il miglior modo per prevenire le piccole, grandi guerre che ci circondano.
Adotto la definizione di cura utilizzata da Nunzio
Galantino sul Sole 24 Ore del 25 luglio 2016: “La cura -interessamento
premuroso per una persona, per un essere vivente (pianta, animale) o per un
oggetto- richiede impegno attivo, ma anche partecipazione emotiva e viene
rivolta, in genere, secondo le indicazioni del mito, verso persone, esseri o
soggetti deboli, bisognosi. Cura, nel mito, non aveva solo il compito di
mantenere in vita le creature, doveva occuparsene, proteggendole,
difendendole”. Galantino si riferisce al mito nel quale “si narra di Saturno
che, nel dirimere una diatriba tra la Terra e Giove su chi dovesse dare il
nome alla nuova creatura chiamandola uomo, diede a Cura il compito di tenere
in vita le sue creature (gli uomini), dimostratesi molto fragili, deboli,
mortali”.
In questa logica si comprende perché la cura permette di tenere
assieme la collettività, garantendo la sopravvivenza e il benessere dei suoi
componenti; così si pongono le basi per evitare conflitti, tensioni,
guerre... La solidarietà che sottostà alle azioni di cura, di presa in
carico, alle piccole azioni di tutti i giorni che rendono più facile la vita
dell'altro, è fattore che riduce l'aggressività, la violenza talvolta indotta
dalla condizione di disagio e di abbandono. Anche sul piano strettamente
clinico la cura diventa una modalità per garantire salute, e quindi
permettere al singolo individuo una visione positiva del proprio futuro,
accompagnata dalla riduzione di paure e ansie, condizioni che a loro volta
generano aggressività. La guerra in alcune situazioni è conseguenza di cure
mancate o inadeguate all'interno dei singoli popoli; queste -se vissute come
momenti di rispetto, di protezione, di supporto- riducono infatti la volontà
di compiere del male verso l'altro. Le cure mediche sono parte di questo
insieme di condizioni; dove sono prestate con passione, dolcezza, competenza,
dedizione, divengono fattori di coesione e prodromi di pace.
Difficilmente nei nostri giorni abbiamo incontrato comunità dove
il sistema sanitario era davvero attento a tenere in vita le creature
(“occupandosene, proteggendole, difendendole”) che si sono fatte attrici di
guerre verso altre comunità. I molti casi di guerre che oggi preoccupano per
il nostro futuro vedono in campo paesi piccoli o grandi dove Cura non esiste,
nelle sue varie espressioni, e il dolore fisico e psichico si trasforma in
aggressività dell'uomo contro l'altro uomo. Dolore psichico non lenito da
azioni di vicinanza e di accompagnamento, dolore fisico non sopito da
interventi appropriati sul piano tecnico e della clinica. In molti casi Cura
non occupa spazi vistosi, ma si infiltra nelle pieghe della sofferenza
dell'uomo alla ricerca della sua strada, e che non vorrebbe trasformarsi in
attore di guerra. E' presente in molti momenti della vita di ogni giorno,
resa buona e senza guerre dalla sua azione silenziosa, ma
incisiva.
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18 ago 2016
articolo tratto da Fondazione Leonardo
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